Pagine

venerdì 21 marzo 2014

SIGNIFICATO DELL'EQUINOZIO DI PRIMAVERA



L’equinozio di Primavera, festa di Oestara, Alban Eiler (“Luce della Terra”), veniva festeggiato il 21 di Marzo, momento in cui giorno e notte sono in perfetto equilibrio. Ricordiamo che la parola equinozio deriva dal latino “equus nox”, ovvero “uguale notte”.

E’ il momento in cui la Natura tutta reca un messaggio di rinnovamento e di risveglio, dopo le lunghe notti invernali. Rappresenta quindi, una sorta di capodanno. Ricordiamo anche che nella Roma antica, l’anno aveva inizio proprio nel mese di marzo, dedicato a Marte, padre dei gemelli fondatori della città.
L’Equinozio di primavera celebra il ritorno della primavera e della vita, l’ascesa della Dea dagli Inferi.
E’ una festa che celebra la fertilità della terra ed ha un particolare valore soprattutto nel paganesimo dell’area mediterranea dove già all’equinozio il ritorno della bella stagione e il rinnovarsi della natura è evidente. .

L’Equinozio di Primavera segna proprio il momento dell’unione in un simbolismo cosmico, legato al risveglio della Natura; a ciò si ricollega il tema del matrimonio fra una divinità maschile, appartenente alla sfera solare, ed una femminile, legata alla Terra o alla luna. Il Dio Sole si accoppia, infatti, con la Giovane Dea Terra.
In questo giorno venivano accesi dei fuochi rituali sulle colline e, secondo la tradizione, più a lungo rimanevano accesi, più fruttifera sarebbe stata la terra. In questo girono venivano, solitamente irrigati i campi, mentre i Druidi, sfruttando la corrispondenza perfetta tra ore solari e ore notturne, celebravano i loro Riti.

l’Equinozio di Primavera è il momento della rinascita, dei nuovi progetti, è il momento in cui è possibile realizzare quei sogni che sono nati nel periodo freddo. E’ il momento adatto per aprirsi ai sentimenti e viverli nella loro totalità.

Rinascere con la Natura e fondersi con la Madre Terra, celebrarla e gioire della Vita che sboccia e si manifesta in tutte le sue forme. Ora il giorno e la notte sono perfettamente in equilibrio ed uguali in lunghezza, e la forza del sole sta crescendo. Nella ruota dell’anno, segue il solstizio d’estate ( 21 giugno), allorchè il sole raggiungerà il suo zenith per poi tornare ad accorciarsi

La Grande Ruota gira senza sosta...... Tuttavia, questo è un giorno molto importante, un giorno in cui dovremmo essere allegri, dato che celebra il calore e la forza guaritrice del sole, il rinverdimento della terra e la nascita di nuova vita in primavera. Come per il raccolto del 21 settembre, questo è il festival dell’ equilibrio – in cui ci riuniamo per celebrare l’equilibrio e l’armonia nell’universo. Come per gli altri festival stagionali antichi, questo giorno è stato in parte assorbito dalla chiesa cristiana ed associato a due giorni santi cristiani. Il primo è la festività dell’annunciazione della Vergine benedetta Maria, che cade il 25 marzo. Il secondo, naturalmente, è la Pasqua. La parola “Pasqua” ha la sua origine nel nome della Dea germanica antica della fertilità e della Primavera, Eostre, Oestara o Ostara,

Il giorno di festa dedicato ad Ostara era lunare piuttosto che solare e tradizionalmente è stato celebrato dagli antichi sulla prima luna piena dopo l’equinozio di primavera. Al contrario, il giorno santo cristiano di Pasqua è celebrato la prima domenica che segue l’equinozio di Primavera. Per porre una distanza di sicurezza tra il giorno della signora del Giorno e Eostre, la chiesa ha stipulato che se la domenica di Pasqua effettivamente cade in luna piena, (Pasqua) sara’ celebrata la seguente domenica.

l'Equinozio è il giorno in cui la Wicca commemora la discesa della giovane Dea nel mondo sotterraneo e il suo ritorno trionfante alla superficie della terra, portando con sé i doni della luce, del calore e della fertilità per tutta l’umanità, e cio’ fa pensare alle Dee Persephone, Kore, Blodeuwedd, Eostre, Aphrodite, Athena, Cybele, Gaia, Hera, Iside, Ishtar, Minerva e Venere.
E’ inoltre la stagione del giovane dio che fa pensare ad Herne il cacciatore, il pettirosso del bosco, l’uomo verde, Cernunno, il signore della natura, Dagda, Attis, Tammuz, il dio cornuto, Mithras, Odino, Thoth, Osiride.

Il motivo del sacrificio e della rinascita hanno un significato profondo per i cristiani che commemorano la crocifissione, morte e resurrezione di Cristo con la Pasqua. Qualunque sia la nostra credenza, questo è un periodo in cui celebriamo il trionfo della luce sul buio e sulla morte. La signora del Giorno è (o deve essere) un momento di pulizia e di rinnovamento, un momento per aprire le finestre e lasciare che il vento attraversi la nostra casa (anche quella interiore), ripulendola delle influenze prolungate dell’inverno. E’ inoltre il momento per la pulizia ed il rinnovamento della propria psiche e per portare equilibrio nella propria vita.
Da un punto di vista del significato esoterico di questo giorno, con l’Equinozio di Primavera, l’Anno Magico mette per la prima volta l’Io di fronte al non-Io, all’Altro. Il percorso del Sole attraverso lo Zodiaco, che si rispecchia nella successione delle stagioni, è la grande lancetta che va di concerto con la crescita spirituale dell’Iniziato che segue l’Anno Magico.
L’Equinozio di Primavera è l’inizio dello Zodiaco, ciò ci indica che anche nella crescita spirituale dell’Iniziato (con Iniziato si intende sempre genericamente chi segue l’Anno Magico, tanto che sia esso in realtà un neofita o un maestro o altro grado qualsiasi) dovremmo assistere ad un nuovo inizio. Così è infatti.
A livello spirituale inizia un lavoro sotterraneo di preparazione che porta alla grande Purificazione , il cui scopo elettivo è di rimuovere gli angoli taglienti del dolore inconscio legato ai ricordi, opera di purificazione che si approfondisce ad ogni Anno e che permette di liberarsi degli schemi di comportamento sbagliati e di ricostruirne dei nuovi.

Questa fase è caratterizzata da una crescente acquisizione di baldanza, di desiderio di sperimentare nuove vie, di rinnovata voglia di vivere, ed è proprio a questo punto, quando si assiste all’esplosione delle forze della Primavera, che lo Zodiaco ci pone il primo impatto con il non-Io, con “l’altro” che non deve più restare l’antagonista dell’Io.
Chi è felice con se stesso per un nuovo progetto che sta per cominciare vive un momento di grande ottimismo e di positività e tende a trasmettere questa positività anche al prossimo, chiunque esso sia: conoscente, amico, cliente o persona incontrata per caso. La liberazione dal dolore inconscio ha ridotto gli schemi di chiusura, di eccessiva difesa, di mancanza di socialità e permette di stringere legami più profondi con gli altri e di essere più disponibili, fino ad avere percezioni extrasensoriali sui fatti che li riguardano.
Nello specifico del Festival dell’Equinozio questo aprirsi agli altri passa, se vogliamo, per la porta più facile, perché è quella dell’amore. Si tratta comunque di una porta facile solo all’apparenza perché la necessità di dover accettare e di farsi accettare da un’altra persona è un passo non piccolo.
In ciò si deve leggere una chiara indicazione che il singolo individuo, la persona, per continuare a crescere deve confrontarsi con gli altri e in, modo concreto, come primo passo deve accettare e ricambiare l’amore di un altro essere umano.

L’Asse Equinoziale è fortemente carico di pianeti sessuali (Marte, e Plutone dal lato dell’Ariete, Venere e Proserpina dal lato della Bilancia) che ci indicano che il primo ridimensionamento del Sole-Egoità nei confronti di Saturno-Altri è comunque molto spronato dagli istinti sessuali ed è solo in parte una rinuncia al proprio egoismo e, in soggetti involuti, rischia di non riuscire ad emergere mai dalla sfera dell’egoismo. Ciò spiega la facilità con cui oggi avvengono le separazioni, proprio perché, da entrambe le parti, nessuno è mai veramente uscito da una visione egoistica ed egocentrica e al primo serio problema non sa vedere la cosa da altri punti vista, se non dal suo.
L’Equinozio viene a rappresentare dunque un punto cardinale nell’evoluzione di una persona, da un lato è la rinuncia necessaria e drammatica dell’Io alla propria unicità, dall’altro è l’inizio di ciò che gli antichi chiamavano “Ingresso dell’Albero” (Arbor Intrat), e che oggi molti chiamano “consapevolezza” o, all’orientale, “non-dualità” (Brahman è tutto, e “tu sei quello”, cioè sei Brahman come ogni altro individuo, non c’è separazione).

Un vero cammino spirituale è sempre fonte di accresciuta felicità e l’individuo che accresce la propria consapevolezza attraverso il Festival di Oestara, oltre alle azioni specifiche riportate nelle pagine centrali, ottiene due grandi benefici personali:
1. La propria intima soddisfazione.
2. La nascita di maggiore veggenza verso se stesso e gli altri.
Si sviluppa cioè la percezione degli eventi che capiteranno a se stessi e agli altri. Nei confronti degli altri si colgono proprio gli eventi mentre per se stessi si colgono più delle suggestioni che inducono a prendere scelte precise e a scansarne altre.

venerdì 14 marzo 2014

Come si stabilisce la data della Pasqua ?



Finalmente sta per arrivare. Di cosa parliamo? Della festività della Pasqua cristiana, naturalmente, che quest'anno capiterà il 20 aprile, molto tardi rispetto al solito periodo cui generalmente siamo abituati a festeggiarla.La ragione, se vogliamo, è piuttosto semplice: la Pasqua cristiana è una festività cosiddetta mobile, ossia la sua data di celebrazione non è fissa ma cambia secondo certi criteri, che furono stabiliti nel 325, nel corso del  Primo Concilio di Nicea, che svincolò così la Pasqua cristiana da quella ebraica.La data della Pasqua cristiana viene stabilita di anno in anno fissando questa festività nella domenica subito successiva al primo giorno di plenilunio (luna piena) che può verificarsi a partire dal giorno dell'equinozio di primavera. Uno scioglilingua complicato? Niente affatto, basta andare con ordine! 
Il primo riferimento stabile di cui bisogna tenere conto è il giorno dell'equinozio di primavera, che cade sempre il 21 marzo di ogni anno. A partire da questa data, il primo giorno in cui c'è la luna piena rappresenta il vero riferimento mobile per la data della Pasqua, che cadrà nella prima domenica che viene subito dopo tale plenilunio. Dunque, entro quale intervallo di tempo può cadere la festività della Pasqua? Per rispondere a questa domanda, dobbiamo innanzitutto sapere necessariamente quanto tempo intercorre tra due pleniluni successivi, e tale intervallo corrisponde a circa 29 giorni, ossia la durata approssimata del mese lunare.Quale può essere la prima data utile per la Pasqua?Sicuramente non il 21 marzo, perché in tal caso il 21 dovrebbe essere la domenica successiva (indichiamola con intesa come quantità di giorni dopo il plenilunio; quindi 0 < d < 8) al giorno di plenilunio (chiamiamolo p), che però deve verificarsi a partire dal 21 stesso, per cui sarebbe in contraddizione con l'ipotesi fatta. Infatti, per avere p + d = p (cioè plenilunio e Pasqua coincidenti), d dovrebbe essere pari a 0, ma questo è impossibile secondo le convenzioni del Concilio di Nicea.


Il primo giorno utile può essere quindi un giorno non anteriore al 22 marzoSe infatti il 21 è un sabato e si verifica un plenilunio, allora il giorno immediatamente successivo è la domenica successiva al giorno di plenilunio; dunque è Pasqua. Se Pasqua cade il 22 marzo, allora vuol dire che la festa è capitata davvero presto!Cosa succede però se il plenilunio capita il 20 marzo? Bisognerà ovviamente aspettare il "turno" successivo, in quanto la luna impiega circa 29 giorni per ritrovarsi nella stessa fase, per cui il plenilunio successivo capiterà 29 giorni dopo, ossia il 18 aprile. Siccome la Pasqua deve essere celebrata nella domenica successiva al giorno di plenilunio, se il 18 aprile è un sabato, il 19 aprile sarà Pasqua; se il 18 è domenica, bisognerà attendere altri 7 giorni, per cui il termine ultimo per la celebrazione della Pasqua cristiana è il 25 aprile.Quest'anno ci siamo andati molto vicini...

giovedì 13 marzo 2014

Concilio di Nicea (325 dC) – Origini del Cristianesimo


Non è possibile comprendere la storia del cristianesimo se non si comprende il significato, la portata 
storica del Concilio di Nicea. 

Perché si tenne il Concilio di Nicea ?
La situazione politica dell’impero e le mire egemoniche dell’imperatore Costantino, di creare un 
solo impero con una sola religione rischiavano di naufragare a causa delle troppe divisioni 
teologiche all’interno del mondo cristiano. Il cristianesimo aveva avuto ormai il sopravvento sulla 
religione pagana dell’Impero nonostante le persecuzioni. Costantino fu molto lungimirante nel 
comprenderlo e nell’anticipare le sue mosse. Ma si rendeva necessario uniformare teologicamente il 
mondo cristiano e in questo si sbagliava. Il cristianesimo di allora era una religione fondata sulla 
libertà, le varie correnti di pensiero potevano dividerla sul piano teologico, ma questo non costituiva 
un motivo, per nessuna delle sue correnti, di venire relegato dentro angusti confini ideologici e 
sociali: coloro che avevano lottato per la fede fino al martirio non sarebbero stati disposti, pur di 
compiacere qualcuno, a modificare i propri ideali di libertà. 

Si indice un concilio. 
Lo scopo dichiarato fu quello di rimuovere le divergenze teologiche nel seno del cristianesimo, 
divergenze che creavano delle fazioni, soprattutto quelle riguardanti l’aspetto della doppia natura di 
Gesù Cristo. Costantino, però, aveva ben altro in agenda e questo i cosiddetti “padri conciliari” lo 
avrebbero scoperto troppo tardi. 

Chi indice il Concilio di Nicea? 
Fu indubbiamente Costantino. Egli invitò 1.800 vescovi di cui 1000 dell’area Orientale e 800 di 
quella Occidentale. 
Perché fu Costantino a volere questo concilio? La situazione, come già accennato, non era tale, 
sotto l’aspetto teologico, da ritenere che qualcuno o qualche chiesa particolare godesse di un 
prestigio e di un’autorità sufficiente per poter proporre un’adunanza generale per dirimere certe 
questioni. Ciò che mancava infatti era un organo giuridico “super partes” e rappresentativo delle 
varie anime del cristianesimo, sufficientemente autorevole da essere riconosciuto dalle comunità 
cristiane delle diverse aree geografiche. Le divisioni teologiche persistevano, ma mancavano gli 
strumenti per potersi fermare a fare “il punto della situazione”. Il cristianesimo continuava a 
diffondersi rapidamente perché, di fatto, ognuno riteneva più importante la predicazione del 
Kerigma, del “fatto storico” riguardo a Gesù e al suo messaggio, della speculazione teologica e/o 
dottrinale. Una cosa forse poco comprensibile ai nostri tempi, tempi in cui le divisioni 
denominazionali sono soprattutto di natura teologica. 
Ma per Costantino, e per la sua politica, questa situazione costituiva un problema, giacché fu lui 
stesso a indire un Concilio, invitando 1.800 vescovi da tutti i territori del suo impero. 
Probabilmente, rimase sorpreso e forse anche contrariato dal fatto che soltanto in 250/300 (il 
numero è incerto) accettarono il suo invito. Un fatto, questo, che merita un po’ di riflessione. 

Perché soltanto una minoranza di vescovi dell’impero accettò l’invito dell’imperatore? ccorre dire che c’è chi afferma che fossero più di 300 e finì per affermarsi il numero di 318 
vescovi, ma “a posteriori”, e perché alcuni videro nel numero 318 alcuni curiosi simboli sui quali 
non ci soffermeremo. 
Eppure i vescovi viaggiavano a spese dell’impero, con vitto e alloggio sempre a carico dello Stato, 
accolti e serviti come principi, con tutti i riguardi. Costantino ci teneva a “fare colpo” e ci riuscì, 
almeno in parte, su coloro presero parte all’assemblea conciliare. Le sessioni del concilio si tennero 
in un’aula sontuosissima al punto da far ritenere ad alcuni convenuti di trovarsi nell’anticamera del 
Paradiso. 

La maggioranza degli invitati declinò l’invito e questo dato è significativo. Si può ritenere con un 
sobrio realismo che la maggioranza dei vescovi aveva fiutato un possibile tranello da parte di 
Costantino e i fatti dettero loro ragione, come vedremo. 
E’ possibile immaginare i sentimenti di stupore derivanti dalla vista di tanto sfarzo da parte di chi 
aveva conosciuto la persecuzione da parte dell’impero ed ora si vedeva circondato di onori e di 
fasto oltre che, in prospettiva, di possibilità di guadagnarsi un posto di rilievo nella società e nella 
propria chiesa. 

Le decisioni del Concilio di Nicea. 
1.Su proposta di Eusebio di Cesarea si arrivò a una dichiarazione di fede, che ricevette il nome di 
Simbolo niceno o credo niceno. Il simbolo, che rappresenta ancora oggi un punto centrale delle 
celebrazioni cristiane, stabilì esplicitamente la dottrina dell'homooùsion, cioè della consustanzialità 
del Padre e del Figlio: nega che il Figlio sia creato (genitum, non factum), e che la sua esistenza sia 
posteriore al Padre (ante omnia saecula). In questo modo, l'arianesimo viene negato in tutti i suoi 
aspetti. Inoltre, viene ribadita l'incarnazione, morte e resurrezione di Cristo, in contrasto alle 
dottrine gnostiche che arrivavano a negare la crocifissione. 
2.Venne dichiarata ufficialmente la nascita virginale di Gesù, definita nel simbolo niceno: Gesù 
nacque da Maria Vergine. In realtà la nascita verginale di Gesù era già affermata nel vangelo di 
Matteo, pertanto nel simbolo niceno essa venne solo ribadita. 
3. fu condannata come eretica la dottrina cristologica elaborata da Ario (arianesimo), che sosteneva 
che Gesù non avesse natura divina come il Padre. 

Altre decisioni erano di carattere non solo dottrinale ma anche disciplinare, e riguardavano la 
posizione da tenere rispetto agli eretici e a coloro che avevano rinnegato il cristianesimo, e cioè: 
1. furono dichiarate eretiche le dottrine del vescovo Melezio di Licopoli. 
2. furono stabilite delle regole sul battesimo degli eretici. 
3. si presero delle decisioni su coloro che avevano rinnegato il cristianesimo durante la 
persecuzione di Licinio, cioè i cosiddetti lapsi. 

L'imperatore fece trasmettere le decisioni del concilio a tutti i vescovi cristiani esortandoli ad 
accettarle, sotto la minaccia dell'esilio. 

Alla fine del concilio vennero stabiliti i seguenti canoni (cioè, "regole"): 
1. proibizione dell'auto-castrazione; (vedi Origene) 
2. definizione di un termine minimo per la ammissione dei neo-catecumeni nella Chiesa; 
3. proibizione della presenza di donne nella casa di un chierico (le cosiddette virgines (o mulieres) 
4. ordinazione di un vescovo in presenza di almeno tre vescovi della provincia, subordinata alla 
conferma da parte del vescovo metropolita; 
5. sugli scomunicati, e sull'obbligo di tenere almeno due sinodi all'anno in ciascuna provincia; 
6. preminenza dei Vescovi di Roma e Alessandria; 
7. riconoscimento di particolare onore per il vescovo di Gerusalemme; 
8. riconoscimento dei Novaziani; –14. provvedimento di clemenza verso coloro che hanno rinnegato il Cristianesimo durante la 
persecuzione di Licinio; 
1516. proibizione di trasferimento di presbiteri e vescovi dalle loro città; 
17. proibizione dell'usura fra i chierici; 
18. precedenza di vescovi e presbiteri sui diaconi nel ricevere l'Eucaristia; 
19. dichiarazione dell'invalidità del battesimo ordinato da Paolo di Samosata (vedi eresia 
adozionista); dichiarazione che le donne diacono sono da considerarsi come i laici; 
20. proibizione di inginocchiarsi durante la liturgia della domenica e nei giorni pasquali, fino alla 
Pentecoste. 
Altre decisioni riguardavano la celebrazione di ricorrenze festive come la Pasqua e il giorno di festa 
settimanale, il “dies solis”, ovvero, la Domenica in sostituzione del Sabato ebraico-cristiano. 

Il 25 luglio 325 il Concilio si concluse e i Padri convenuti celebrarono il ventesimo anniversario di 
regno dell'imperatore. Nel suo discorso conclusivo, Costantino confermò la sua preoccupazione per 
le controversie cristologiche e sottolineò la sua volontà che la Chiesa vivesse in armonia e pace. In 
una lettera fatta circolare nella prima festa della Pasqua, annunciò la raggiunta unità di fatto 
dell'intera Chiesa. 

Gli effetti del Concilio di Nicea: Inizio del cesaropapismo. 
Gli effetti del concilio di Nicea furono significativi. Per la prima volta, rappresentanti di molte 
chiese dell’impero furono concordi su un tema di dottrina, pena esilio. 
Sempre per la prima volta, l'Imperatore (che non era ancora cristiano) svolse un ruolo attivo, 
convocando insieme i vescovi sotto la sua autorità e usando il potere dello Stato per dar seguito alle 
disposizioni conciliari (compreso il rendere esecutive le condanne all'esilio e simili). Questo fu 
l'inizio del cosiddetto cesaropapismo: un coinvolgimento di Chiesa e Stato che seguiterà fino ai 
nostri giorni ad essere oggetto di dibattito. Ma il concilio non risolse del tutto i problemi per cui era 
stato convocato. 
Le osservazioni che fa Edward Gibbon del Concilio nella sua monumentale opera Decline and Fall 
of the Roman Empire, dove evidenzia le necessità politiche di mantenimento dell'unità dell'Impero, 
che spinsero Costantino a convocare il concilio: «(...) la dottrina nicena fu ratificata da Costantino, 
e quando l'imperatore affermò risolutamente che chiunque si fosse opposto al giudizio divino del 
concilio avrebbe dovuto prepararsi a prendere immediatamente la via dell'esilio, tacquero i 
mormorii di protesta di una fiacca opposizione, che da diciassette vescovi si ridusse quasi 
istantaneamente a due.» 

Gli effetti del Concilio di Nicea a breve e a lungo termine. 
Il principio del cesaropapismo era ormai passato e bene o male i cosiddetti “padri conciliari” 
dovettero farsene una ragione: la chiesa non era più libera, l’imperatore ne aveva il pieno 
controllo e le decisioni prese diventavano indiscutibili. I vescovi, coscienti o meno, consezienti o 
meno, erano diventati ormai dei funzionari dello stato cosa che comportava dei privilegi, ma che 
riduceva il loro ruolo a dei miseri servi del potere imperiale e non di quel Gesù Cristo che di fatto 
avevano abbandonato per passare sotto il nuovo padrone. 
“La definitiva decisione politico-ecclesiastica nel conflitto ariano venne presa dall'imperatore 
Teodosio il Grande (379-395), che era un occidentale e un niceno convinto. Nel suo editto sulla 
religione "Cunctos populos" ("Tutti i popoli") in verità non si trovavano, in generale, misure 
giuridiche contro ebrei e pagani, in quanto esso ha di mira gli ariani. Soltanto verso la fine del suo 
periodo di governo, nel 392, egli emanò il "divieto generale, non più revocato, di tutti i culti e riti 
sacrificali pagani e cominciò la pena di "laesae maiestatis" per i trasgressori". In questo modo egli 
rese di fatto il cristianesimo religione di Stato, la chiesa cattolica chiesa di Stato e l'eresia 
crimine contro lo Stato. Quanto breve può essere anche la memoria della chiesa: non sono occorsi 
cent'anni per trasformare la chiesa perseguitata in una chiesa persecutrice! Ora il nemico della hiesa è anche il nemico dell'impero e viene punito in maniera adeguata. Nel 385 il predicatore 
laico spagnolo Priscilliano un asceta fanatico, viene giustiziato a Treviri per eresia insieme a sei 
compagni -un brutto segno per i futuri secoli cristiani. Per la prima volta i cristiani uccidono altri 
cristiani per divergenze di fede. Nonostante le proteste di diverse parti ci si sarebbe abituati presto a 
ciò. Già Leone Magno espresse soddisfazione per questo modo di procedere. Anzi, la chiesa 
incominciò a condividere, e addirittura a inasprire con continue distruzioni di templi, le misure 
coercitive dello Stato contro ariani e pagani. Anche alcuni vescovi (eminenti come Giovanni 
Crisostomo) furono attivi in questo senso. La cristianizzazione della vita pubblica venne perseguita 
con coerenza: ora il senato romano abiurava solennemente l'antica fede. Graziano, correggente di 
Teodosio durante i primi anni, abolì il titolo del sommo sacerdote romano "Pontifex Maximus", così 
che esso, a partire dal V° secolo, potrà venire rivendicato, senza tante difficoltà, dal vescovo di 
Roma. . (vedi Hans Kung, “Cristianesimo”). Calarono allora le prime ombre dell’oscuro Medioevo. 

Superfluo aggiungere che prima di questo, a iniziare da Costantino, la chiesa corrotta dal connubio 
con l'Impero, assumeva gradualmente per intero l'organizzazione dello Stato, un'organizzazione così 
efficiente che si mantenne nei secoli e che regge ancora egregiamente, con l'unica pecca di non 
essere di provenienza apostolica ma, più terra-terra, Romana! 

Sul modo in cui andavano le cose la dice lunga l’esperienza di Atanasio le cui tesi vennero 
acclamate al Concilio di Nicea, ma in seguito condannate. Egli venne di volta in volta esiliato (una 
volta per tre anni!) e riabilitato sempre su ordine imperiale e a seconda delle decisioni conciliari. 

Ora certi apologisti e revisionisti del mondo cattolico fanno salti mortali per riscrivere tutto questo 
per far apparire una chiesa pura, quella cattolica, con un sistema dottrinale definito, con un Canone 
del Nuovo Testamento già quasi bello e confezionato, addirittura con un'autorità dipendente, per 
"successione apostolica" da Cristo stesso, fin dai tempi apostolici! 
Tutto questo sarebbe vero solo se Costantino (o Teodosio) si fosse chiamato Gesù Cristo. In realtà 
l’autorità della chiesa era subordinata a quella dell’impero. In un famoso affresco della Basilica di 
S. Silvestro, a Roma, Costantino consegna a papa Silvestro il potere sulla chiesa; ma , leggende e 
falsi storici a parte, è Costantino che detiene il potere sulla chiesa, che ne dispone in senso assoluto, 
e lo stesso sarà per i suoi successori ed oltre. La chiesa è quindi sotto il dominio dell’impero con 
libertà vigilata. La chiesa cattolica, nata da quel fatto storico, ha un bel vantarsi sulla sua presunta 
origine da Cristo e/o da Pietro apostolo per successione apostolica! La verità è meno nobile di 
quello che essa vorrebbe far credere, e tutto ciò che essa vanta, i suoi presunti primati e privilegi, 
sono un’eredità di quell’antico compromesso con l’impero, la sua vantata autorità è figlia di quel 
connubio. 

Conclusione. 
Una minoranza, forse nemmeno 300 dei 1.800 dei vescovi dell’impero, dunque, decise le sorti della 
chiesa. E pochi sono quelli che hanno speso una parola sulla legalità di questo fatto storico. 
La nascita della chiesa cattolica, i revisionisti della quale si danno molto da fare per produrre prove 
per dimostrare l’indimostrabile, cioè che essa risale al tempo apostolico, inizia così con il Concilio 
di Nicea. Essa divenne “chiesa di Stato” con l’imperatore Teodosio. Quella libertà di culto, così 
dolorosamente ottenuta, altrettanto dolorosamente cominciò, da allora, ad essere negata agli altri. 
Seguirono molto presto le persecuzioni dei pagani, quelle degli Ebrei e quelle più orribili e di 
inaudita durata e crudeltà dei cosiddetti “eretici”, cioè di quei cristiani che intendevano vivere in 
pace e adorare Dio secondo coscienza. 
Ti tali eventi che la storia ci tramando non possiamo non considerarci eredi: siamo tutti figli della 
storia ma, si badi bene, non tutti siamo figli di quella chiesa. Chi si sottomette volontariamente 
all’autorità di Cristo rinnega l’autorità della chiesa cattolica, ne rinnega la sua origine pagana, 
imperiale, intollerante e fratricida. Questo nostro sdegno non vuole colpire i nostri fratelli cattolici, uole ammonire soltanto coloro che mascherano di verità la menzogna, che chiamano bene il male e 
male il bene in piena coscienza, portando alla perdizione i semplici e gli ignoranti. 

mercoledì 12 marzo 2014

"Bolla" Papale 1302 - Unam Sanctam Ecclesiam


La Unam Sanctam Ecclesiam, comunemente nota come Unam Sanctam, è una bolla pontificia di papa Bonifacio VIII promulgata il 18 novembre 1302.

Bonifacio VIII è considerato uno degli uomini più corrotti, malvagi e potenti della storia della Chiesa e del mondo, tanto che lo stesso Dante lo mette nei gironi più bassi dell’Inferno. Questa Bolla Papale determina il primo sistema fiduciario ancora valido oggi. Bonifacio VIII, in questa Bolla, afferma che Dio aveva affidato tutti i titoli e le proprietà della Terra al Vaticano.
In pratica e tradotto in altri termini, la Bolla Papale del 1302 usa la metafora del Diritto Marittimo e dell’Ammiragliato (Bibbia) affermando che l’Unam Sanctam Ecclesiam e quindi la Prima e Unica Santa Chiesa è l’Arca di Noè, perché mentre tutto il mondo era sommerso dalle acque, l’unica cosa che si elevava al di sopra era l’Arca.
Quindi tutti gli esseri umani, a partire da quel giorno, certificato dalla Bibbia come Codice di Diritto Nautico, sono dispersi in mare. E il Papa dunque reclama tutta l’autorità, tutta la proprietà, sia spirituale che temporale, fino a quando i “dispersi” torneranno a reclamare i loro diritti.
Cosa che finora, dal 1302, non è mai avvenuta, perché tutte le Nazioni si basano su quel sistema giuridico. Questo Diritto proclamato da Papa Bonifacio VIII si basa per Diritto Divino, ecco perché non possiamo parlare di politica senza parlare di religione o di economia e finanza senza parlare di religione.
Leggi ol testo del documento in versione Originale e tradotto 
Bonifacio VIII, Unam sanctam 
(del 18. 11. 1302) 


Unam sanctam ecclesiam catholicam et ipsam apostolicam urgente fide credere 
cogimur et tenere, nosque hanc firmiter credimus et simpliciter confitemur, extra 
quam nec salus est, nec remissio peccatorum, sponso in Canticis proclamante: 
“Una est columba mea, perfecta mea. Una est matri(s) suæ, electa genetrici suæ;" 
quæ unum corpus mysticum repræsentat, cuius caput Christus Christi vero Deus. In 
qua unus Dominus, una fides, unum baptisma. Una nempe fuit diluvii tempore arca 
Noe, unam ecclesiam præfigurans, quæ in uno cubito consummata unum, Noe 
videlicet, gubernatorem habuit et rectorem, extra quam omnia subsistentia super 
terram legimus fuisse deleta. Hanc autem veneramur et unicam, dicente Domino in 
Propheta: « Erue a framea, Deus, animam meam, et de manu canis unicam meam." 
Pro anima enim, id est pro se ipso, capite simul oravit et corpore, quod corpus 
unicam scilicet ecclesiam nominavit, propter sponsi, fidei, sacramentorum et 
caritatis ecclesiæ unitatem. Hæc est tunica illa Domini inconsutilis , quæ scissa 
non fuit, sed sorte provenit. Igitur ecclesiæ unius et unicæ unum corpus, unum 
caput, non duo capita, quasi monstrum, Christus videlicet et Christi vicarius 
Petrus, Petrique successor, dicente Domino ipsi Petro: « Pasce oves meas." Meas, 
inquit, et generaliter, non singulariter has vel illas: per quod commisisse sibi 
intelligitur universas. 

TRADUZIONE:

Per imperativo della fede noi siamo costretti a credere ed a ritenere, che vi 
è una sola Santa Chiesa Cattolica ed Apostolica, e noi fermamente la crediamo e 
professiamo con semplicità, e non c'è né salvezza né remissione dei peccati fuori 
di lei  come lo Sposo proclama nel Cantico: “Unica è la mia colomba, la mia 
perfetta; unica alla madre sua, senza pari per la sua genitrice". Essa rappresenta 
l'unico corpo mistico, il cui capo è Cristo, e il capo di Cristo è Dio, e in esso c´è 
un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Una sola infatti fu l'arca di Noè 
al tempo del diluvio, che prefigurava l'unica Chiesa; ed era stata costruita da un 
solo braccio, ebbe un solo timoniere e un solo comandante, ossia Noè, e noi 
leggiamo che fuori di essa furono sterminati tutti gli esseri esistenti sulla terra. 
Questa (Chiesa) noi veneriamo, e questa sola, come dice il Signore per mezzo del 
Profeta: “Libera, o Signore, la mia anima dalla lancia e dal furore del cane, 
l'unica mia". Egli pregava per l'anima, cioè per Se stesso - per la testa e il corpo 
nello stesso tempo - il quale corpo precisamente Egli chiamava l'unica Chiesa, a 
causa dell'unità dello Sposo , della fede, dei sacramenti e della carità ecclesiale. 
Questa è quella veste senza cuciture del Signore, che non fu tagliata, ma data in 
sorte. Dunque la Chiesa sola e unica ha un solo corpo, un solo capo, non due teste 
come se fosse un mostro, cioè Cristo e Pietro, vicario di Cristo e il successore di 
Pietro, perché il Signore disse a Pietro: “Pasci le mie pecorelle". “Le mie", Egli 
disse, parlando in generale e non in particolare di queste o quelle, dal che si 
capisce, che gliele affidò tutte. 


Sive ergo Græci sive alii se dicant Petro eiusque successoribus non esse 
commissos: fateantur necesse se de ovibus Christi non esse, dicente Domino in 
Ioanne, unum ovile et unicum esse pastorem. In hac eiusque potestate duos esse 
gladios, spiritualem videlicet et temporalem, evangelicis dictis instruimur. Nam 
dicentibus Apostolis: « Ecce gladii duo hic," in ecclesia scilicet, quum apostoli 
loquerentur, non respondit Dominus, nimis esse, sed satis. Certe qui in potestate 
Petri temporalem gladium esse negat, male verbum attendit Domini proferentis . 
“Converte gladium tuum in vaginam." Uterque ergo in potestate ecclesiæ, 
spiritualis scilicet gladius et materialis. Sed is quidem pro ecclesia, ille vero ab 
ecclesia exercendus. Ille sacerdotis, is manu regum et militum, sed ad nutum et 
patientiam sacerdotis. Oportet autem gladium esse sub gladio, et temporalem 
auctoritatem spirituali subiici potestati. Nam quum dicat Apostolus: “Non est 
potestas nisi a Deo; quæ autem sunt, a Deo ordinata sunt," non autem ordinata 
essent, nisi gladius esset sub gladio, et tanquam inferior reduceretur per alium in 
suprema. Nam secundum B. Dionysium lex divinitatis est infima per media in 
suprema reduci. Non ergo secundum ordinem universi omnia æque ac immediate, 
sed infima per media et inferiora per superiora ad ordinem reducuntur. Spiritualem 
autem et dignitate et nobilitate terrenam quamlibet præcellere potestatem, oportet 
tanto clarius nos fateri, quanto spiritualia temporalia antecellunt. Quod etiam ex 
decimarum datione, et benedictione, et sanctificatione, ex ipsius potestatis 
acceptione, ex ipsarum rerum gubernatione claris oculis intuemur. 

TRADUZIONE:

Se quindi i greci o altri dicono di non essere stati affidati a Pietro e ai 
suoi successori, devono per forza confessare di non essere tra le pecorelle di 
Cristo, perché il Signore dice in Giovanni che c'è un solo gregge e un (solo e) 
unico pastore. E chi nega che la spada temporale appartenga a Pietro, 
ha malamente interpretato le parole del Signore, quando dice: “Rimetti la tua 
spada nel fodero". Quindi a Proprio le parole del vangelo ci insegnano che in questa Chiesa e 
nella sua potestà ci sono due spade, cioè la spirituale e la temporale, perché, 
quando gli Apostoli dissero: “Ecco qui due spade" - che significa nella Chiesa, 
dato che erano gli Apostoli a parlare - il Signore non rispose che erano troppe, 
ma che erano sufficienti. Ambedue sono nel potere della Chiesa, la spada 
spirituale e quella materiale. Però quest'ultima deve essere esercitata in favore 
della Chiesa, l'altra direttamente dalla Chiesa; la prima dal sacerdote, l'altra 
dalle mani dei re e dei soldati, ma agli ordini e sotto il controllo del sacerdote. 
Poi é necessario che una spada sia sotto l'altra e che l'autorità temporale sia 
soggetta a quella spirituale. Perché quando l'Apostolo dice: “Non c'è potere che 
non venga da Dio e quelli che sono, sono disposti da Dio", essi non sarebbero 
disposti se una spada non fosse sottoposta all'altra, e, appunto come inferiore, 
non fosse dall'altra ricondotta a nobilissime imprese. Poiché secondo san Dionigi 
è legge da Dio, che l'inferiore sia ricondotto per l'intermedio al superiore. 
Dunque le cose non sono ricondotte al loro ordine alla pari e immediatamente, 
secondo la legge dell'universo, ma le infime attraverso le intermedie e le inferiori 
attraverso le superiori. Che il potere spirituale supera in dignità e nobiltà tutti 
quelli terreni dobbiamo proclamarlo tanto più apertamente quanto lo spirituale 
eccelle sul temporale. Il che, invero, noi possiamo chiaramente constatare con i 
nostri occhi dal versamento delle decime, dalla benedizione e santificazione, dal 
riconoscimento di tale potere e dall'esercitare il governo sopra le medesime. 


Nam, veritate testante, spiritualis potestas terrenam potestatem instituere habet, et 
iudicare , si bona non fuerit. Sic de ecclesia et ecclesiastica potestate verificatur 
vaticinium Hieremiæ . “Ecce constitui te hodie super gentes et regna" et cetera, 
quæ sequuntur. Ergo, si deviat terrena potestas, iudicabitur a potestate spirituali; 
sed, si deviat spiritualis minor, a suo superiori; si vero suprema, a solo Deo, non 
ab homine poterit iudicari, testante Apostolo: “Spiritualis homo iudicat omnia, 
ipse autem a nemine iudicatur." Est autem hæc auctoritas, et si data sit homini, et 
exerceatur per hominem, non humana, sed potius divina, ore divino Petro data, 
sibique suisque successoribus in ipso, quem confessus fuit petra, firmata, dicente 
Domino ipsi Petro: “Quodcunque ligaveris etc." Quicunque igitur huic potestati a 
Deo sic ordinatæ resistit, Dei ordinatione resistit , nisi duo, sicut Manichæus, 
fingat esse principia, quod falsum et hæreticum iudicamus, quia testante Moyse, 
non in principiis, sed in principio coelum Deus creavit et terram. Porro subesse 
Romano Pontifici omni humanæ creaturæ declaramus, dicimus, diffinimus et 
pronunciamus omnino esse de necessitate salutis. 

TRADUZIONE:

Poiché la Verità attesta che la potestà spirituale ha il compito di istituire 
il potere terreno e, se non si dimostrasse buono, di giudicarlo. Così si avvera la 
profezia di Geremia riguardo la Chiesa e il potere della Chiesa: “Ecco, oggi Io ti 
ho posto sopra le nazioni e sopra i regni" e le altre cose che seguono. Se dunque il 
potere terreno devia, sarà giudicato dall'autorità spirituale; se poi il potere 
spirituale inferiore degenera, sarà giudicato dal suo superiore; ma se è quello 
spirituale supremo, potrà essere giudicato solamente da Dio e non dall'uomo, 
come afferma l'Apostolo: “L'uomo spirituale giudica tutte le cose; ma egli stesso 
non viene giudicato da nessuno." Questa autorità infatti, benché conferita ad un 
uomo ed esercitata da un uomo, non è umana, ma piuttosto divina, attribuita per 
bocca di Dio a Pietro, e resa intangibile per lui e per i suoi successori in colui 
che egli, la pietra, aveva confessato, quando il Signore disse allo stesso Pietro: 
“Qualunque cosa tu legherai ecc." Perciò chiunque si oppone a questo potere 
istituito da Dio, si oppone all'ordine di Dio, a meno che non pretenda come i 
manichei che ci sono due princìpi, il che noi giudichiamo falso ed eretico, perché 
- come dice Mosè - non nei principii, ma nel principio Dio creò il cielo e la terra. 
Di conseguenza noi dichiariamo, stabiliamo, definiamo ed affermiamo che è 
assolutamente necessario alla salvezza di ogni creatura umana che essa sia 
sottomessa al Romano Pontefice. 

venerdì 7 marzo 2014

Enuma Elish, la genesi Sumera


L’enuma elish rappresenta il più antico testo scritto documentato sulla creazione del mondo, in lingua babilonese e derivante da una versione originale sumera ancora più antica.
I protagonisti sono gli dei che, attraverso battaglie e divine alleanze, donano all’opera una struttura epica e avvincente, con tanto di ribellioni, uccisioni e trionfi.
I sumeri volevano descrivere la creazione di tutte le cose in chiave “mitologica”, ma nello stesso tempo conoscevano perfettamente il Sistema Solare e la sua origine. Anzi, conoscevano qualcosa che oggi noi stentiamo a credere: la presenza di un pianeta chiamato Nibiru.
L’enuma elish riesce a conformare le vicende degli dei e le loro battaglie rispettivamente alla fisica dei corpi celesti e alle loro collisioni, tanto per fare un esempio.
I nomi degli dei sono attribuibili ai nomi dei pianeti; le azioni degli dei, le loro decisioni, le loro alleanze, le uccisioni coincidono incredibilmente con i moti dei corpi celesti, con le attrazioni reciproche dovute alle forze di gravità, con le loro orbite, con le loro inevitabili collisioni.
Si ottiene così un forte parallelismo tra epica e documentazione scientifica di cosmologia.
Ecco il risultato:
Enuma elish la nabu shamamu
Shaplitu ammatum shuma la zakrat
Quando nell’alto il cielo non aveva ancora un nome
[E] in basso anche la solida Terra non aveva nome
Questo è l’inizio dell’Enuma Elish, l’epica babilonese della creazione che spiega le origini del Sistema Solare, rivela l’esistenza del pianeta Nibiru, descrive l’arrivo degli Anunnaki sulla Terra e la creazione dell’uomo.
Differentemente dall’idea comune che si tratti di un opera mitologica e fantasiosa, l’Enuma Elish rappresenta un vero e proprio trattato di astronomia, dove Zecharia Sitchin è stato il primo ad intuire che le successive versioni sulla Creazione, Bibbia compresa, facciano senza alcun dubbio riferimento a quest’opera babilonese.
L’intero testo sacro, basato su un precedente testo originale sumero, fornisce quindi una dettagliata descrizione di tutto ciò che esisteva prima dell’essere umano e della Terra.
La narrazione ha come tema le battaglie degli dei celesti, intesi come pianeti e corpi celesti, ma che vengono descritti come entità viventi.
Il Sistema Solare iniziò a prendere forma con solo tre attori celesti: un Apsu primordiale, il suo compagno Mummu e un’entità divina chiamata Ti.amat.
L’unione delle acque di Tiamat con il maschio Apsu generò gli dei celesti, i pianeti, e ne risultò così il Sistema Solare:
Sole - Apsu
Mercurio - Mummu
Venere - Lahamu
Marte - Lahmu
Tiamat - Tiamat
Giove - Kishar
Saturno - Anshar
Il futuro Plutone - Gaga
Urano - Anu
Nettuno - Ea/Nudimmud
Inizialmente il Sistema Solare era instabile e caotico, dove le orbite dei pianeti non erano ancora stabilmente definite. Questa diventava la premessa per l’inizio della battaglia celeste: la continua instabilità dei pianeti (gli dei celesti) provocò turbamento a Tiamat e lo spinse a formare la sua terribile “schiera”, formata dai suoi satelliti (i “draghi ruggenti, ammantati di terrore”). Tale situazione, generando ulteriore pericolo e disordine, spinse Ea/Nettuno, il pianeta più esterno, a riequilibrare il Sistema Solare e inviarvi un pianeta (“un dio celeste più grande”) che veniva da lontano. Era un pianeta pieno di splendore, di nome Nibiru (Marduk per i babilonesi), coinvolto direttamente nella battaglia celeste che descrive il testo: a causa del senso orario di rotazione della sua orbita, opposto a quello di tutti gli altri pianeti, Nibiru/Marduk sarà destinato a collidere inevitabilmente con Tiamat.

Seconda fase: completata la prima orbita e quindi la prima fase, Marduk ritorna da Tiamat ormai “sottomesso” ed entra in collisione diretta, aprendola in due. La metà superiore (il “cranio”) di Tiamat diventerà il nostro pianeta Terra, mentre la parte inferiore viene ridotta in frantumi che, legati tra loro come un bracciale, andranno a formare la fascia degli asteroidi (il “bracciale martellato”).
Il pianeta Terra contiene ora il seme del DNA di Marduk, ottenuto con la collisione con Tiamat, e nella sua nuova orbita si porta con sé l’inanimato Kingu per farne la propria Luna.
Il Signore calpestò la parte posteriore di Tiamat.
Con la sua arma le tagliò di netto il cranio;
recise le arterie del suo sangue
e spinse il Vento del Nord a portarla
verso luoghi sconosciuti.
L’altra metà di lei
egli innalzò come un paravento per i cieli.
Piegò la coda di Tiamat
fino a formare la Grande Fascia come un bracciale.
Incastrando insieme i pezzi,
li appostò come guardiani.
In questo momento, sempre secondo il testo babilonese, “Marduk” fece del sistema solare la sua dimora e si afferma per sempre come pianeta Nibiru, il pianeta dell’attraversamento, con la sua orbita di 3600 anni terrestri.
Tutte le volte che Nibiru si è avvicinato al pianeta Terra, dove un tempo orbitava Tiamat, è stato sempre descritto come un pianeta radiante, pieno di luce ed è per questo che viene spesso rappresentato con una croce.
Ai giorni nostri, viene spesso chiamato “Pianeta X”, mentre quando ancora Plutone era considerato pianeta del Sistema Solare, veniva chiamato il “Dodicesimo Pianeta”, contando anche Sole e Luna.



Fonte:
Zecharia Sitchin : “Quando i Giganti abitavano la Terra” – 2009 Macro Edizioni
Zecharia Sitchin: ” Le cronache terrestri rivelate” – 2011 Edizioni Piemme