In un testo mesopotamico (K.3558), tradotto da Charles Virolleaud, nel quale vengono descritti i membri del gruppo mulmul, ovvero del nostro sistema solare, nell'ultima riga si legge esplicitamente:
"Il numero dei suoi corpi celesti è dodici. Dodici sono le stazioni dei suoi corpi celesti. Il totale dei mesi della luna è dodici ". La riga 20, poi, della cosidetta tavola TE diceva: "naphar 12 sheremesh ha.la sha kakkab.lu sha Sin u Shamash ina libbi ittiqu" che significa "in totale 12 membri a cui appartengono il Sole e la Luna, e dove orbitano i pianeti". Il conto è presto fatto: Sole, Luna, i nove pianeti oggi conosciuti più un altro: quello che lo storico Zecharia Sitchin chiama il Dodicesimo Pianeta. A questo punto, e alla luce dei recenti avvenimenti, nasce ovvio fare le seguenti considerazioni; o i Sumeri avevano mezzi e conoscenze scientifiche pari o superiori alle nostre (va ricordato che Plutone è stato scoperto solo nel 1930), oppure, come afferma Sitchin, i Nefilim, abitanti del pianeta Nibiru, diedero la conoscenza agli antichi sacerdoti-astronomi, fra l'altro, dei pianeti che orbitano attorno al Sole.
Antichi testi mesopotamici, risalenti al 2000 a C., parlano non solo di presenze aliene, ma di una cosmogonia nella quale è chiara la presenza di un pianeta dalle stesse caratteristiche di quello "scoperto" dal Dr. Murray. Provenienza: dalla profondità dello spazio, grandezza: superiore a quella di Giove e, cosa più strabiliante: traiettoria opposta a quella degli altri pianeti del nostro sistema solare. E' facile immaginare molti scienziati che posti di fronte all'enigma chiedono di attendere "dati ufficiali" o tutt'al più, con sorrisi ironici - che più volte abbiamo visto esibire in trasmissioni televisive riguardanti tali argomenti - affermare che senz'altro si tratta di coincidenze fra storie fantastiche e odierne scoperte scientifiche. Possiamo capire che uno scienziato si chiuda su posizioni di riscontro dati o prove empiriche (ci stupirebbe l'inverso!), quello che non accettiamo è il rifiutare a priori l'analisi di certe ipotesi.
Questi scienziati ci devono dire, sempre che non contestino prima le traduzioni dei testi mesopotamici, da cosa può essere derivata la conoscenza, ben 4000 anni fa, del nostro sistema solare, dilettandosi a calcolare quante probabilità esistono statisticamente che nel racconto si potesse prevedere un pianeta con traiettoria opposta agli altri. Ci potrebbero anche spiegare perché i Dogon, un popolo dell'Africa, conosce da generazioni la stella Sirio e la sua compagna, che chiamano Po Tolo, stella seme, invisibile ad occhio nudo e scoperta solo nel 1844 con il nome di Sirio B.
Tralasciamo queste considerazioni per ritornare al nostro tema. Esiste un testo mesopotamico - la Enuma Elish ("Quando nell'alto"), risalente al 2000 A.C., scritta in caratteri cuneiformi, composta da sette tavole, ciascuna di 115/170 righe nel quale, in chiave narrativa, si descrive la formazione del nostro sistema solare. Ne evidenziamo alcune parti significative per la nostra ricerca. Enuma elish la nabu shamamu (quando nell'alto il Cielo non aveva ancora un nome) Shaplitu ammatum shuma la zakrat (e in basso anche il duro suolo non aveva nome). Così comincia il racconto. Esistono all'inizio solo tre dèi, o pianeti, AP.SU (uno che esiste fin dal principio), MUM.MU (uno che è nato) e TIAMAT (vergine della vita). Dal rimescolamento delle acque (le acque primordiali, gli elementi base dell'universo) nascono LAHMU e LAHAMU. Comparvero poi AN.SHAR e KI.SHAR che generarono ANU e GAGA; quest'ultimo, da identificarsi con Plutone, era inizialmente un emissario (satellite) di AN.SHAR per poi allontanarsi, come vedremo nei prossimi articoli.
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